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L’autismo, chiamato originariamente Sindrome di Kanner, è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo neuro-psichiatrico che interessa la funzione cerebrale; la persona affetta da tale patologia esibisce un comportamento tipico caratterizzato da una marcata diminuzione dell’integrazione socio-relazionale e della comunicazione con gli altri ed un parallelo ritiro interiore. Attualmente risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione, divise tra cause neurobiologiche costituzionali e psico-ambientali acquisite[1].

Più precisamente, data la varietà di sintomatologie e la complessità nel fornirne una definizione clinica coerente e unitaria, è recentemente invalso l’uso di parlare, più correttamente, di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders), comprendendo tutta una serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune le suddette caratteristiche comportamentali, sebbene a vari gradi o livelli di intensità.

A livello di classificazione nosografica, nel DSM-IV è considerato rientrare nella categoria clinica dei disturbi pervasivi dello sviluppo, cui appartengono, fra le varie altre sindromi, anche la sindrome di Asperger, la sindrome di Rett e il disturbo disintegrativo dell’infanzia.

Epidemiologia

L’incidenza varia da 5 a 50 persone su 10.000,[2] a seconda dei criteri diagnostici impiegati, che si sono sviluppati e migliorati nel corso del tempo[3]. Colpisce prevalentemente i soggetti maschili[4] con un tasso dalle due alle quattro volte (e a volte anche sei/otto volte) superiore rispetto al sesso femminile;[5] si manifesta quasi sempre entro i primi 3 anni di vita. Studi condotti in popolazioni generali in varie parti del mondo, senza tenere conto di criteri di esclusione o diagnosi differenziali, possono rilevare affidabilmente prevalenze attorno all’1% in tutte le fasce d’età.[6]

Grafico che mostra l’incremento della diagnosi di autismo negli Stati Uniti.

Cenni storici

Prima del Ventesimo secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca di merito nel XIX secolo, vi fu anche John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che porta il suo nome), e che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero classificate come autismo[7] e Ludwig Binswanger per il quale “l’autismo consiste nel distacco dalla realtà, insieme con una prevalenza più o meno marcata della vita interiore”[8].

Il termine autismo deriva dal greco αὐτός ([aw’tos], significa stesso), e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra Svizzero Eugen Bleuler nel 1911[9] per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia;[10] sui lavori precedentemente svolti da Emil Kraepelin.[11]

Nell’antichità e nel folklore europeo si attribuiva l’autismo e altri disturbi alle fate, che si credeva sostituissero di nascosto i propri neonati, denominati Changeling o Servan, con quelli umani.

Il termine autismo inteso in senso moderno è stato utilizzato per la prima volta da Hans Asperger (1906-1980) nel 1938[12]

In seguito si passò a indicare una specifica sindrome patologica nel 1943[13] a opera di Leo Kanner (1894-1981), che parlò di “autismo infantile precoce”.[14]

Rapporti storici fra autismo e psicoanalisi

Le origini dei rapporti

Prima di Leo Kanner, Melanie Klein descrisse negli anni Trenta del XX secolo un caso che lei chiama di psicosi infantile, e che oggi verrebbe diagnosticato come autistico[15]. Dopo di lei e dopo Kanner, che dette il nome alla sindrome negli anni Quaranta, psicoanalisti come Margaret Mahler e altri (fra cui Bruno Bettelheim) in America, inoltre Frances Tustin, Donald Meltzer e altri in Inghilterra si occuparono di questi bambini negli anni ’60-’80.

Con il loro stimolo, un crescente interesse veniva rivolto alle particolari anomalie di comportamento, comunicazione e sviluppo in generale dei bambini e delle persone con autismo, favorendo un aumento di conoscenze e di interesse nel campo della psicologia dello sviluppo e nella psichiatria dell’infanzia. Dagli anni Ottanta, trovarono grande sviluppo le ricerche sull’attaccamento, l’infant research sulle interazioni precoci, le ricerche cognitiviste sulla teoria della mente, e le indagini mediche epidemiologiche, genetiche e di neuroimaging, che svolgono attualmente un grande rilievo nella ricerca clinica sul disturbo.

Fin dalla sua prima descrizione dell’autismo, sia Leo Kanner (1943) sia Hans Asperger (1944) avevano intuito che si trattava di una sindrome dovuta a una condizione organica. A differenza di Asperger, Kanner ha successivamente ipotizzato che l’autismo fosse provocato da cause psicodinamiche.

Vi è tuttora, seppur in termini molto diversi rispetto alle originarie teorie di Kanner, una linea di riflessione sulle ipotetiche ed eventuali concause psicologiche dell’autismo, intese nel senso che, sulla base comunque di predisposizioni genetiche e col concorso di altri fattori ambientali o neurologici, eventuali fattori psicologici o relazionali potrebbero avere un ruolo complementare nell’attivazione dei disturbi dello spettro autistico.

L’evoluzione degli studi nel tempo

Nel 1943 Leo Kanner aveva descritto per primo la sindrome autistica su una rivista medica specializzata, ritenendola una patologia neurologica (organica): nei mesi successivi da tutti gli Stati Uniti d’America vennero a consulto da lui, nel suo famoso e costoso ospedale, alcune decine di famiglie con un bambino corrispondente alla descrizione che egli aveva fatto dell’autismo.

Kanner osservò che si trattava di famiglie della media e alta classe borghese, con una madre acculturata e spesso “in carriera”, e ritenne che fossero queste le caratteristiche e quindi le cause di tutti i casi di autismo; sottovalutando il fatto che soltanto persone afferenti a classi socioeconomiche più alte potevano riferirsi a lui, poiché avevano avuto notizia del suo articolo e perché avevano i mezzi per pagare le relative, ingenti, spese sanitarie.

Successivamente lo stesso Kanner si accorse che l’autismo era diffuso in maniera eguale anche nelle classi più povere, e nel 1969, durante la prima assemblea della National Society for Autistic Children (oggi Autism Society of America), riconobbe i limiti della sua ipotesi esplicativa, riducendo così lo stigma che si era creato in merito all’eccessiva responsabilizzazione dei genitori in ordine all’insorgenza del disturbo. Kanner lasciò l’eredità della direzione della rivista sull’autismo da lui fondata (il Journal of Autism) al professor Eric Schopler, che fra i primi si era accorto dei notevoli limiti esplicativi della sua ipotesi originale.

Dal 25 ottobre 2011 è stata pubblicata la Linea guida n.21, nella versione estesa e anche in quella ridottissima per il pubblico: http://www.snlg-iss.it/cms/files/scheda_autismo_14-03.pdf Vi si trovano tutte le indicazioni degli interventi che sono stati dimostrati efficaci (come ad esempio quelli basati su ABA) e anche quelli sconsigliati perché rischiosi, come ad esempio la chelazione, la secretina e gli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.

Un’ipotesi consequenziale

Sulla base di questo errore di Kanner si era basata l’iniziale ipotesi che il bambino affetto da autismo fosse neurologicamente sano, e che la causa dell’autismo fosse individuabile solo in un ipotetico “rapporto inadeguato” con la madre. Per circa un ventennio questa ipotesi, oggi ritenuta scorretta, ha dominato la scena clinica internazionale, indirizzando spesso bambini e nuclei famigliari esclusivamente verso trattamenti di dubbia utilità terapeutica nel trattamento diretto dell’autismo. Gli psichiatri Bettelheim[16] e Tustin (della Tavistock Clinic di Londra) sono stati tra i principali esponenti di questo approccio derivato dalle riflessioni di Kanner, che diffusero a livello internazionale, e ormai considerato desueto.

A. Freud e S. Dann (1951)[17], con un’indagine su alcuni bambini sopravvissuti ai Campi di concentramento nazisti alla fine della Seconda guerra mondiale, avevano dimostrato che neppure quelle condizioni estreme di privazione di affetto potevano indurre la patologia autistica.

Anche l’osservazione dei dati epidemiologici, che rileva spesso più di un caso fra i membri di una stessa famiglia, e una forte sproporzione nella prevalenza dell’autismo nei maschi (3 o 4 volte superiore rispetto alle femmine, dato che diventa addirittura 20 volte superiore per la sindrome di Asperger), fornisce elementi a conferma del fatto che l’autismo è generato da altre cause, diverse dall’inadeguatezza dell’amore materno.

Allo stesso modo, Asperger quasi contemporaneamente a Kanner aveva descritto dei soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico (nella forma clinica che da lui prese il nome di Sindrome di Asperger), indicando correttamente il cammino per identificarne le possibili cause, e sottolineando la rilevanza di effettuare interventi di abilitazione-riabilitazione delle capacità residue (da lui chiamato “pedagogia curativa”).

Quando le ricerche epidemiologiche e l’osservazione scientifica hanno rilevato con chiarezza che alla base della sindrome autistica c’è un deficit neurologico, molti genitori hanno cominciato disperatamente a ricercare supposti rimedi farmacologici e dietetici. Il desiderio di guarire induce molti genitori a scambiare per risultati positivi di farmaci e diete quelle variazioni positive dello stato di salute che potrebbero essere ottenute anche mediante il placebo, il finto farmaco.

Su questo terreno giocano molti “venditori di illusioni” o di trattamenti pseudoscientifici, che, a volte approfittando dell’angoscia delle famiglie, propongono “cure nuove e miracolose”, ma in realtà del tutto prive di effetti verificabili, o fanno pagare come “cura” ciò che al massimo, e solo a volte, potrebbe essere ritenuta solo un’ipotesi di ricerca[18].


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