Dislessia

La dislessia è un disturbo classificato tra i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) con il codice F81.0, e la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà che hanno i soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce. Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.

Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologia stessa del cervello. La dislessia non è una malattia o un problema mentale. Secondo la definizione più recente, approvata dall’International Dyslexia Association (IDA), “la dislessia è una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura che può impedire una crescita del vocabolario e della conoscenza generale”.

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la dislessia e gli altri disturbi specifici di apprendimento come disabilità, per cui non è possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.

Se questo problema non viene identificato nei primi anni della scuola primaria, tramite la valutazione di una persona esperta nel campo dei disturbi dell’apprendimento, le conseguenze possono risultare di una certa gravità. Se il/la bambino/a dislessico/a è sottoposto/a a un metodo d’apprendimento usuale, riuscirà solo con un grande dispendio di energia e concentrazione a ottenere risultati che per i suoi compagni e per l’insegnante sono quasi banali. Durante la scuola dell’infanzia è possibile effettuare una valutazione dei prerequisiti per l’abilità di lettura, in modo da poter intervenire precocemente e rafforzare delle competenze eventualmente carenti, tuttavia a oggi non sono stati identificati dei predittori del disturbo nella popolazione normale; mentre sappiamo che sono a rischio di dislessia (nel senso che hanno maggiori probabilità di manifestarla) chi ha disturbi del linguaggio e chi ha un genitore dislessico. Anche se la diagnosi di dislessia può essere fatta solo in classe seconda o terza della scuola primaria, già in prima elementare alcuni/e bambini/e manifestano difficoltà nell’imparare a leggere ed è opportuno dare un aiuto senza colpevolizzazione, intervenendo subito; aspettando, la difficoltà aumenta. La dislessia ha una prevalenza maggiore nei maschi. I problemi maggiori nascono quando i bambini dislessici non vengono compresi, poiché spesso passano per pigri o addirittura per stupidi. Questo li porta spesso a perdere la propria autostima, a forme di depressione o ansia, a crisi d’identità e molto spesso a rigettare in toto il mondo della scuola, rinunciando in questo modo a molte possibilità che la loro intelligenza del tutto normale, invece, consentirebbe.

Elementi da considerare nel valutare la dislessia

Vanno innanzitutto esclusi disturbi generalizzati dello sviluppo e considerate patologie mediche generali, precedenti disturbi dello sviluppo e anomalie associate. Per la diagnosi di dislessia, e di tutti i DSA, è necessario: – Funzionamento Intellettivo nella Norma – Almeno No.2 prove diagnostiche con valori sotto le -2 DS – Funzionamento scolastico deficitario

Come si manifesta la dislessia

La dislessia si può presentare in modalità molto diverse da soggetto a soggetto. Di seguito vengono presentate le caratteristiche più comuni relative alla decodifica della singola parola o del testo scritto. Queste possono non essere tutte presenti contemporaneamente.

  • Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio
    Il soggetto mostra chiare difficoltà nel discriminare grafemi uguali o simili, ma diversamente orientati. Egli, ad esempio, confonde la “p” e la “b”; la “d” e la “q”; la “u” e la “n”; la “a” e la “e”; la “b” e la “d”… Nell’alfabeto latino sono molte le coppie di grafemi che differiscono rispetto al loro orientamento nello spazio, per cui le incertezze e le difficoltà di discriminazione possono rappresentare un impedimento alla lettura.
  • Scarsa discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari
    Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi che presentano somiglianze. Egli, ad esempio, può confondere la “m” con la “n”; la “c” con la “e”; la “f” con la “t”; la “e” con la “a”… questo succede specialmente se si tratta di una scrittura in corsivo o in script.
  • Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori
    Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo-uditive. L’alfabeto è composto di due gruppi di fonemi: i fonemi sordi e i fonemi sonori, che risultano somiglianti tra loro, per cui anche in questo caso l’incertezza percettiva può rappresentare un ostacolo alla lettura. Le coppie di fonemi simili sono le seguenti:
F V
T D
P B
C G
S sorda S sonora
  • Difficoltà di decodifica sequenziale
    Leggere nella lingua italiana richiede al lettore di procedere con lo sguardo in direzione sinistra-destra e dall’alto in basso; tale processo appare complesso per tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura ma, con l’affinarsi della tecnica e con l’uso della componente intuitiva, la difficoltà diminuisce gradualmente fino a scomparire. Nel soggetto dislessico, invece, talvolta ci troviamo di fronte a un ostacolo nella decodifica sequenziale, per cui si manifestano con elevata frequenza i seguenti errori:

    • Omissione di grafemi e di sillabe
      Il soggetto omette la lettura di parti della parola; può tralasciare la decodifica di consonanti (ad esempio può leggere “fote” anziché “fonte”; oppure “capo” anziché “campo”…) o di vocali (può leggere, ad esempio, “fume” anziché “fiume”; “puma” anziché piuma”…) e, spesso, anche di sillabe (può leggere “talo” anziché “tavolo”; “paro” anziché “papavero”…). In alcuni casi capita che questi soggetti leggano la prima parte della parola, mentre la seconda se la inventino o immaginino (vedi “Prevalenza della componente intuitiva”, subito sotto).
    • Salti di parole e salti da un rigo all’altro
      Il soggetto dislessico presenta evidenti difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo, per cui sono frequenti anche “salti” di intere parole o di intere righe di lettura.
    • Inversioni di sillabe
      Spesso la sequenza dei grafemi viene invertita provocando errori particolari di decodifica della sillaba (il soggetto può, ad esempio, leggere “li” al posto di “il”; “la” al posto di “al”, “ni” al posto di “in”…) e della parola (può leggere, ad esempio, “talovo” al posto di “tavolo”…).
    • Aggiunte e ripetizioni
      La difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra-destra può dare origine anche a errori di decodifica caratterizzati dall’aggiunta di un grafema o di una sillaba (ad esempio “tavovolo” al posto di “tavolo”…).
  • Prevalenza della componente intuitiva
    Il soggetto che presenta chiare difficoltà di lettura privilegia, indubbiamente, l’uso del processo intuitivo rispetto a quello di decodifica. L’intuizione della parola scritta rappresenta un valido strumento ma, al tempo stesso, è fonte di errori, definiti di anticipazione. Non di rado, infatti, il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo del primo grafema o della prima sillaba, e procede “intuendo”/“inventando” l’altra parte. La parola contenuta nel testo viene così a essere spesso trasformata in un’altra, il cui significato può essere affine ma anche completamente diverso.

Possibili ripercussioni sulla scrittura

  • Difficoltà di copiatura dalla lavagna a causa della lenta o scorretta decodifica. Può inoltre essere causa di questo problema l’incapacità di decodificare la scrittura di un’altra persona, avendo già problemi con la propria.

Possibili ripercussioni sull’apprendimento logico-matematico

  • Il soggetto talvolta può presentare alcune difficoltà di decodifica del testo del problema e può presentare l’impedimento nella risoluzione di semplici problemi matematici che i non affetti di dislessia risolverebbero senza problema. Hanno quindi un apprendimento più lungo della norma.

Dislessia e difficoltà semplici della lettura

La dislessia si riconosce per la presenza di caratteristiche, più o meno presenti, sopra descritte, che impediscono o ostacolano fortemente il processo di decodifica.

Le difficoltà semplici di lettura, invece, si riconoscono per la presenza di uno o di alcuni degli elementi di riconoscimento sopra descritti, ma gli ostacoli alla conquista di adeguate tecniche di lettura risultano superabili attraverso l’esercizio graduato, la proposta di attività coinvolgenti e stimolanti, la sollecitazione delle curiosità del soggetto, lo sviluppo di capacità di base talvolta non adeguatamente interiorizzate all’ingresso della scuola elementare.

Le difficoltà semplici di lettura sono dovute, quasi sempre, a un ritardo maturazionale, a lievi difficoltà percettivo-motorie, a un inadeguato bagaglio di esperienze, a scarso investimento motivazionale, ma anche a errori didattico-pedagogici che i docenti compiono sia nelle prime proposte didattiche relative all’approccio alla lingua scritta sia, successivamente, negli itinerari di recupero conseguenti all’accertamento delle difficoltà stesse.

Tipologie di dislessia

La lettura può passare per diverse vie:

  • la via fonologica, che dalla percezione visiva passa per la conversione grafema-fonema e quindi per il buffer fonemico. È una via più lenta perché ogni fonema viene letto singolarmente.
  • la via lessicale non semantica, che dalla percezione visiva passa per il lessico ortografico di input e giunge al lessico fonologico di output e quindi al buffer fonemico. Si basa sulla lettura della parola intera basandosi sull’elaborazione parallela.
  • la via lessicale semantica, che va dalla percezione visiva al sistema semantico al buffer fonemico. Si utilizza in presenza di parole conosciute.

Nell’apprendimento della lettura il bambino attraversa vari stadi, corrispondenti all’acquisizione delle differenti vie:

  • Stadio logografico: il bambino elabora le proprietà salienti della parola;
  • Stadio alfabetico: si realizza l’associazione grafema-fonema, si leggono nuove parole;
  • Stadio ortografico: si comincia a eseguire elaborazioni in parallelo e a leggere la parola per intero, applicando regole fonologiche;
  • Stadio semantico: si attiva la via lessicale semantica, la lettura diviene molto più fluente.

A queste diverse vie si associano differenti disabilità nella lettura.
È possibile classificare la dislessia in:

  • superficiale: sono compromesse le vie lessicali ma la lettura, seppur stentata, è possibile;
  • fonologica: è compromessa la via fonologica perché manca una corretta associazione grafema/fonema, ma la via ortografica non è compromessa;
  • profonda: la via semantica è compromessa e si effettuano delle parafasie semantiche.

Un’interpretazione clinica della dislessia viene da E. Boder, che distingue tra:

  • dislessia diseidetica: è difficoltosa la rappresentazione della parola nelle sue variazioni, le parole nuove non sono comprensibili;
  • dislessia disfonologica: il deficit è a livello delle mappe grafema-fonema.

Un’ulteriore classificazione neuropsicofisiologia, ideata da Bakker, propone di considerare le dislessie a seconda dell’emisfero danneggiato:

  • Tipo L (emisfero dx): sono presenti deficit visuo-percettivi, la lettura è colma di errori perché manca una sufficiente mediazione delle aree preposte.
  • Tipo P (emisfero sx): si utilizzano strategie percettive, la lettura seppur stentata è possibile;

Percorsi terapeutici

Ogni percorso terapeutico deve essere personalizzato in relazione: alle caratteristiche psicologiche del soggetto, agli ambiti di competenza, potenzialità e difficoltà riscontrati, ai tempi di attenzione, ai livelli motivazionali e di metacognizione individuati. Le linee guida prevedono due itinerari da portare avanti parallelamente:

  • itinerario relativo alle competenze di base percettivo-motorie e meta-fonologiche
  • itinerario specifico per la lettura

Il primo itinerario è finalizzato alla riduzione delle lacune riscontrate nelle capacità di base; il secondo itinerario ha invece lo scopo di promuovere la conquista di capacità di lettura più adeguate. È importante quindi che i due itinerari siano proposti parallelamente e con gradualità, per evitare di rimandare nel tempo la conquista di quelle capacità di lettura che possono gratificare il bambino. Quest’ultimo dovrà essere informato circa il lavoro da svolgere, anzi, egli stesso dovrà conoscere gli obiettivi che, di volta in volta, dovranno essere raggiunti; in questo modo gli sarà possibile essere protagonista e, al tempo stesso, “osservatore” dei propri processi di apprendimento.

Consulenza alla famiglia Il lavoro con la famiglia deve integrare il percorso individuale del soggetto dislessico. Gli incontri con la famiglia sono un momento fondamentale nel lavoro con il bambino che presenta difficoltà di apprendimento; attraverso queste sedute si cerca di sostenere sia i genitori sia i figli nel cammino verso la piena comprensione del problema, verso la ricerca condivisa di modalità idonee per affrontarlo, evitando che il problema stesso giunga a pervadere ogni ambito della vita del bambino e crei disagi insormontabili nella sfera affettiva e relazionale. Nelle situazioni di disturbo specifico è in ogni caso importante che questo tipo d’intervento affianchi, ma non sostituisca, il lavoro individuale e personalizzato con il bambino, che deve essere portato avanti da personale preparato e in grado di stabilire adeguati raccordi con la scuola.

Ergonomia del testo

I problemi di dislessia impongono di pensare all’ergonomia del testo scritto. Alcune linee guida possono essere d’aiuto per rendere più agevole la lettura, pur tuttavia senza risolvere il problema.

  • font tipografico tendenzialmente senza grazie, in quanto rendono il testo graficamente più pesante. Importante che, però, siano differenziate almeno la I maiuscola e la ELLE minuscola. Un carattere senza grazie (ossia senza le sporgenze alle estremità delle aste verticali) come quello che sta leggendo in questo momento, è bene usarlo per brevi testi, spaziando un 5-6% le lettere tra loro, perché nel caso di lettere come “o”, la “g” lo scuro, verticale, del carattere risulta più vicino alle lettere che precedono e che succedono facendo perdere l’unità della lettera. Un altro problema che già danno i caratteri di larghezza media (di meno quelli un poco stretti) è che nelle lettere aperte come la “n”, la “m”, la “u” la “v” il bianco entra nell’area del carattere, disturbando la lettura, infatti i libri si impaginano con caratteri con le grazie per non stancare la lettura, che però sono meno sintetici, e nel caso di difficoltà di decodifica visiva sono meno indicati nella fase iniziale. Un’altra possibilità che può aiutare approcci difficoltosi è di usare il maiuscoletto al posto delle lettere minuscole, sempre distanziando un poco le lettere tra loro;
  • sconsigliata la frazionatura delle parole andando a capo. È importante che la riga contenga un massimo di settanta battute. Le battute giuste (da cui il termine giustezza della riga) dovrebbero essere circa sessanta, in modo che l’occhio sia facilitato a tornare indietro e il ritmo della respirazione possa accompagnare la lettura;
  • giustificazione solo a sinistra (sbandierato a destra) per tre ragioni principali:
    • equispaziatura delle parole e delle lettere che rende la lettura più lineare e codificabile
    • la sbandieratura a destra permette di avere una forma particolare dell’insieme della pagina che aiuta a evitare la perdita del segno
    • elimina la frazionatura delle parole andando a capo
  • ampia interlinea.

Dislessia e disagio psicologico

È frequente che le difficoltà specifiche di apprendimento non vengano individuate precocemente e che il bambino sia costretto a vivere una serie di insuccessi a catena senza che se ne riesca a comprendere il motivo. Quasi sempre, i risultati insoddisfacenti in ambito scolastico vengono attribuiti allo scarso impegno, al disinteresse verso le varie attività, alla distrazione. Questi alunni, oltre a sostenere il peso della propria incapacità, se ne sentono anche responsabili e colpevoli. L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine a un’elevata demotivazione all’apprendimento e a manifestazioni emotivo-affettive particolari quali la forte inibizione, l’aggressività, gli atteggiamenti istrionici di disturbo alla classe e, in alcuni casi, la depressione.

Il soggetto con disturbo di apprendimento vive quindi il proprio problema a tutto tondo e ne rimane imprigionato fino a che non viene elaborata una diagnosi accurata che permette di fare chiarezza.

Possibili sensazioni e comportamenti del ragazzo dislessico

Provando a mettersi nei panni di un bambino o di un ragazzo con disturbo di apprendimento si possono immaginare le esperienze e gli stati d’animo:

  • egli si trova a far parte di un contesto (la scuola) nel quale vengono proposte attività per lui troppo complesse e astratte;
  • osserva però che la maggior parte dei compagni si inserisce con serenità nelle attività proposte e ottiene buoni risultati;
  • sente su di sé continue sollecitazioni da parte degli adulti (“stai più attento!”, ” Impegnati di più!”, “hai bisogno di esercitarti molto”…);
  • si percepisce come incapace e incompetente rispetto ai coetanei;
  • comincia a maturare un forte senso di colpa sentendosi responsabile delle proprie difficoltà;
  • ritiene che nessuno sia soddisfatto di lui, né gli insegnanti né i genitori;
  • ritiene di non essere all’altezza dei compagni e che questi non lo considerino membro del loro gruppo a meno che non vengano messi in atto comportamenti particolari (ad esempio quello di fare il buffone di classe);
  • per non percepire il proprio disagio, mette in atto meccanismi di difesa che non fanno che aumentare il senso di colpa, come il forte disimpegno (“Non leggo perché non ne ho voglia!”, “Non eseguo il compito perché non mi interessa”…) o l’attacco (aggressività);
  • talvolta il disagio è così elevato da annientare il soggetto ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura.

Possibili atteggiamenti dei familiari del soggetto dislessico

Per la maggior parte dei genitori la scuola è importante, è al primo posto nella vita dei bambini e dei ragazzi, tutto il resto viene dopo e, se la scuola va male, ne sono insoddisfatti e chiedono al/alla figlio/a un maggiore impegno. Non di rado si sente dire ai genitori rispetto alla difficoltà del figlio: “Non me lo aspettavo… mi è sempre sembrato un bambino intelligente…”.

L’ingresso nella scuola elementare ha, in questi casi, fatto emergere un problema; il bambino non apprende come gli altri, gli altri sanno già leggere e scrivere, lui invece… Comincia così la storia del bambino – scolaro, una storia che, in certi casi, ha risvolti davvero drammatici, non si riesce a comprendere tutta quella serie di “perché” che permetterebbero di intraprendere percorsi adeguati ed efficaci e si cercano soluzioni spesso dannose, anche se decise in buona fede. Ecco allora che si sottopongono i figli a estenuanti esercizi di recupero pomeridiano, si elargiscono punizioni (niente più sport, niente più videogiochi…), e talvolta si arriva anche a far cambiare scuola al figlio.

Nonostante si parli molto di questi problemi, c’è ancora scarsa conoscenza e non sempre la diagnosi giunge in tempi accettabili, cosicché sia il bambino sia la famiglia tutta vivono esperienze frustranti, generatrici di ansia e di un clima affettivo non certamente favorevole.

Co-morbilità

Insieme alla dislessia possono presentarsi diverse altre problematiche più o meno collegate:

  • Disgrafia ovvero la difficoltà di realizzare i grafemi manualmente in modo leggibile e fluente;
  • Disortografia ovvero la difficoltà di rispettare le regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto;
  • Discalculia ovvero la difficoltà di svolgere calcoli aritmetici a mente o su carta senza l’uso di calcolatrice o strumenti atti a ciò;
  • Disprassia Problematiche motorie.
  • Eminegligenza spaziale unilaterale ovvero un deficit di attenzione, solitamente in seguito a lesioni destre, che porta a ignorare l’emicampo visivo sinistro.[senza fonte]

Classificazione ICD-10

F81.0 Disturbo specifico delle lettura (Dislessia)
F81.1 Disturbo specifico della scrittura (Disortografia)
F81.2 Disturbo specifico delle abilità aritmetiche (Discalculia)
F81.3 Disturbi misti delle abilità scolastiche

Recenti ricerche

Secondo quanto riportato dal notiziario on line delle Scienze, ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di Yale hanno identificato un gene nel cromosoma umano 6, chiamato DCDC2, le cui alterazioni sarebbero associate alla dislessia. Secondo questi studiosi una mutazione genetica di DCDC2 condurrebbe a un difetto nella formazione dei circuiti cerebrali preposti alla lettura. L’alterazione genetica sarebbe ereditaria.

Il principale autore della ricerca, Jeffrey R.Gruen, ritiene che questi risultati, se confermati, potrebbero portare a una migliore diagnostica per identificare la dislessia e potrebbero portare a una migliore comprensione del funzionamento a livello molecolare della lettura. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. La ricerca si basa su un campionamento statistico effettuato su 153 famiglie dislessiche. Le prove statistiche dimostrerebbero che circa il 20% dei casi di dislessia è dovuto all’alterazione nel gene DCDC2. L’alterazione genetica su questo cromosoma corrisponde alla cancellazione di una regione regolatrice. Lo stesso gene è responsabile, nei centri della lettura del cervello, della modulazione della migrazione di neuroni. Questa architettura cerebrale è necessaria per leggere normalmente.

Il mondo della scuola

Normativa

I bambini dislessici ancora faticano a essere compresi e accettati a scuola dove la maggior parte degli apprendimenti passa ancora attraverso il codice scritto. Ma è l’ambiente scolastico che permette di riconoscere e rilevare precocemente gli impedimenti all’apprendimento e questo comporta anche la responsabilità degli insegnanti di riuscire a riconoscere e successivamente segnalare eventuali difficoltà. Spesso però gli alunni dislessici vengono definiti “pigri” e si deve partire proprio da questa pigrizia per capire che spesso è la spia di un disturbo che può portare alla specificità di un disturbo di apprendimento. Come dice G.Stella (psicologo e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia) “la pigrizia è solo l’effetto di una problematica più profonda”.

I primi passi concreti nella giusta strada erano stati fatti con la CM del 5 ottobre 2004 n. 4099/A/4 emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione che raccomandava agli insegnanti di utilizzare strumenti compensativi e misure dispensative per agevolare l’apprendimento di bambini e ragazzi dislessici e di applicare con loro una valutazione specifica in tutte le fasi del percorso scolastico, compresi i momenti di valutazione finale. Nella stessa si specificava, altresì, che per adottare tali misure poteva essere sufficiente la diagnosi specialistica di disturbo specifico di apprendimento di lettura (o dislessia). Per bambini e ragazzi dislessici non si ritiene opportuno l’appoggio di un insegnante di sostegno.

La Legge dell’8 ottobre 2010 n. 170[2] riconosce esplicitamente l’esistenza dei disturbi specifi di apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia) come disturbi che possono limitare notevolmente l’apprendimento e che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali. Nella stessa viene fatto obbligo alle scuole, previa comunicazione alla famiglia, di intervenire in caso di sospetto di DSA.

L’unico ente accreditato a fornire diagnosi di DSA utilizzabile dalle scuole sono i Servizi sanitari nazionali (con qualche eccezione laddove il territorio non possieda le strutture adeguate). Ciò significa che qualsiasi altra diagnosi, senza la validazione dell’ASL, anche redatta da specialisti, non conta dal punto di vista legale per poter attivare ciò che la normativa scolastica prevede.

In presenza di diagnosi di DSA da parte dei servizi la scuola è tenuta a garantire misure educative e didattiche di supporto quali:

  • l’utilizzo di provvedimenti compensativi e dispensativi inerenti alla flessibilità didattica
  • una didattica individualizzata e personalizzata: il team docente, entro il primo trimestre scolastico, deve compilare un documento chiamato Piano Didattico Personalizzato (PDP) di cui si può trovare un esempio[3]nel sito dell’AID (Associazione Italiana Dislessia);
  • l’introduzione di strumenti compensativi quali ad esempio l’utilizzo di tecnologie informatiche (computer con videoscrittura e correttore, libri digitali, sintesi vocale, ma anche semplici tabelle o formulari e la calcolatrice)
  • strategie compensative (integrazione della comunicazione scritta con altri codici: grafici, mappe; potenziare la capacità di ascolto; rafforzare le relazioni sociali)
  • misure dispensative riguardo a specifiche attività non essenziali ai fini dei concetti da apprendere e che quindi consentano a questi alunni di vivere in un clima più sereno e sicuro
  • un monitoraggio continuo delle misure adottate
  • adeguate forme di verifica e valutazione che oltre all’uso degli strumenti sopraelencati tengano in considerazione modalità anche solo orali o l’uso di mediatori durante le prove, interrogazioni programmate e inoltre la possibilità di usare un tempo maggiore per eseguire il tutto (anche nella prova INVALSI viene concesso del tempo maggiore rispetto alla classe)

Ai familiari di alunni del primo ciclo di istruzione viene riconosciuto il diritto ad avere un orario di lavoro flessibile per poter assistere lo studio a casa laddove il contratto lo preveda.

Importanti sono altresì le linee guida[4] emanate con il decreto attuativo della L.170/10. Esse, oltre a dare numerose indicazioni su come realizzare interventi didattici personalizzati e sulle modalità di utilizzo delle misure dispensative e gli strumenti compensativi, delinea il livello essenziale delle prestazioni richieste alle istituzioni scolastiche per garantire il diritto allo studio degli studenti con DSA.

PDP

Nell’articolo 5 del DM del 12 luglio 2011 viene specificato che “la scuola garantisce ed esplicita nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato con l’indicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative adottate”. Nelle Linee Guida sempre di luglio 2011 si auspica che i vari Uffici Regionali predispongano delle procedure condivise sulla stesura di PDP da parte delle singole scuole ma fino a oggi non è stato definito un modello specifico a livello nazionale, anche se il MIUR e l’AID forniscono degli esempi. I vari CTI ( centri territoriali per l’integrazione) e i CTS (centri territoriali per il supporto informatico) però si stanno muovendo a livello provinciale per definire la stesura di schemi condivisi dai vari ordini di scuola.

In tale documento, il PDP, che può essere modificato nel corso dell’anno scolastico, devono essere definite in primo luogo le difficoltà rilevate che si possono dedurre dalla diagnosi, successivamente, per ogni materia, devono essere specificate le strategie metodologiche e didattiche che si ritengono utili, le misure dispensative, gli strumenti compensativi usati e le modalità di verifica e valutazione. Esso poi deve essere sottoscritto dal consiglio di classe e condiviso con la famiglia o con lo stesso studente se maggiorenne. Questo documento sottolinea la presa in carico dello studente con DSA da tutto il team docente che si impegna ad attuare gli interventi didattici necessari per il successo scolastico dell’alunno senza delegare la stesura del PDP alla figura del “referente per i DSA”, che il ministero auspica sia presente in ogni scuola, ma che, come specificato nel punto 6.3 delle “linee guida”, ha in modo specifico il compito di orientamento, organizzazione, coordinamento e formazione.

L’importanza di uno screening precoce

Le Raccomandazioni per la pratica clinica per i Disturbi Specifici di Apprendimento (pubblicate nel 2009) affermano che non si possa fare una diagnosi certa di DSA se non al completamento del secondo anno della scuola primaria quando “si completa il ciclo dell’istruzione formale al codice scritto e si ha una riduzione significativa dell’elevata variabilità interindividuale nei tempi di acquisizione della lettura” e ciò permette quindi una certa attendibilità della eventuale diagnosi. Questo comporta che spesso non ci possa essere l’avvio di un intervento prima della fine terza o inizio quarta. Spesso ciò avviene addiruttura al passaggio alla scuola secondaria di primo grado o addirittura dalla classe prima alla seconda di questo grado. A questo punto il lavoro di una eventuale rieducazione logopedica tende a ridursi o a essere inutile visto che il periodo sensibile “Finestra evolutiva”, dove l’attività di recupero ha la massima efficacia, è presente nelle prime fasi di acquisizione della lettura e scrittura. Successivamente diventa un inutile lavoro che non apporta nessun beneficio specifico e sposta di conseguenza l’intervento scolastico sull’uso di strumenti compensativi.

La necessità quindi risulta essere la possibilità di individuare precocemente un alunno con DSA o meglio, una fascia a rischio. Si è infatti visto che nella scuola Primaria, dove si lavora sui prerequisiti all’acquisizione del codice scritto, non è possibile parlare di un riconoscimento riferito a un singolo soggetto ma di gruppi a rischio dove l’attenzione va posta su quelle competenze e funzioni che sono alla base comunque di questo codice. Verso questa direzione va il progetto “Non è mai troppo presto” dell’AID in collaborazione con Fondazione Telecom e MIUR, che si concluderà a luglio 2012 che, dopo 5 anni di attività di screening si propone di definire un nuovo protocollo di attività da effettuare a livello nazionale. Tale collaborazione e la successiva, si spera, formazione degli insegnanti permetterà la rilevazione sistematica delle variabili di rischio da segnalare già alla scuola primaria e quindi la possibilità per i soggetti segnalati di attivare un persorso utile, non certo a eliminare, ma almeno a ridurre alcune difficoltà o almeno a sfruttare completamente, dopo la segnalazione ai Servizi Sanitari competenti, il già detto periodo sensibile attraverso attività specifiche.

Legislazione

LEGGE 8 ottobre 2010 , n. 170 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/34ca798c-2cac-4a6f-b360-13443c2ad456/legge170_10.pdf

Decreto N. 5669 del 12 luglio 2011 http://www.aiditalia.org/upload/dm12luglio2011sudsa.pdf integrato dalle LINEE GUIDA PER IL DIRITTO ALLO STUDIO DEGLI ALUNNI E DEGLI STUDENTI CON DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO http://www.aiditalia.org/upload/linee_guida_sui_dsa_12luglio2011.pdf

 

Esiste una proposta di legge per riconoscere la dislessia in modo sistematico. Questo avviene già in molti altri stati della Comunità Europea. Ciò permetterà ai dislessici certificati di avvalersi di metodi alternativi di avvicinamento al sapere che non passino dal testo scritto.

In data 19 agosto 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il REGOLAMENTO recante il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni.

Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122 (in GU 19 agosto 2009, n. 191)

Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169 http://www.invalsi.it/invalsi/rn/odis/doc/dm122_2009.pdf

L’articolo N° 10 riguarda direttamente gli alunni con DSA. Si riporta di seguito il testo integrale dell’articolo.

Art. 10 – Valutazione degli alunni con difficoltà specifica di apprendimento (DSA) – 1. Per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) adeguatamente certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tener conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove d’esame, sono adottati, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei. 2. Nel diploma finale rilasciato al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove.

Linee Guida

Il 26 gennaio 2007 sono state ufficialmente promulgate le “Raccomandazioni per la pratica clinica sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento” approvate con il metodo della Consensus Conference dalle principali associazioni culturali e professionali interessate a questi problemi.

I rappresentanti di quasi tutte queste associazioni hanno istituito un Panel per la revisione di queste Raccomandazioni, in modo da arrivare al più presto a delle vere e proprie linee guida secondo quanto previsto dal Piano Nazionale Linee Guida.

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